di Marella Giovannelli – Tra i mestieri, un tempo molto praticati ad Olbia, c’era quello dello scalpellino. Uno dei più apprezzati in città era Luigi Serra. Ecco come il nipote Gianni Mutzu, descrive il lavoro di suo nonno Luigi, di suo zio Gavino e degli altri scalpellini olbiesi che, ogni giorno, partivano in bicicletta da Terranova per raggiungere le cave di Monte Ladu a Porto Rotondo.
“Le parole sono pietre” scriveva Carlo Levi, ma le pietre sono parole e ricordi per l’olbiese Gavino Serra, classe 1923, secondogenito di Luigi Serra, scalpellino. E’ a Rudalza che Gavino ha iniziato l’arte del tagliapietre quando, bambino di dieci anni, poco incline agli studi, seguiva il padre nelle cave di Monte Ladu, per lavorare sul posto i grandi massi di granito ghiandone.
La loro giornata iniziava alle 5,30 del mattino. La colazione era già pronta e, dopo aver salutato la madre Franzisca, Gavino partiva insieme al padre Luigi, percorrendo in bicicletta i 20 chilometri della vecchia strada che da Olbia portava fino alle cave di Monte Ladu per raggiungere gli altri scalpellini tra cui Moi, Pitzoi, Deiana e molti altri.
Intorno agli anni Trenta se ne contavano più di cinquanta e tutti insieme, come una grande orchestra, ritmavano i colpi di mazzetta sulle punte di acciaio che tagliavano la pietra. Era un granito bianco, buono quanto quello delle cave di La Maddalena e piano piano, colpo dopo colpo, la pietra veniva squadrata, lavorata, bocciardata e rifinita; roccia di granito, una risorsa che assicurava il pane quotidiano.
I grossi massi venivano fatti rotolare fin giù dal monte per essere poi caricati sui vagoncini che li trasportavano fino a Punta Asfodeli o al molo di Porto Rotondo. Da lì i blocchi venivano sollevati con dei pali di legno e degli argani, costruiti appositamente e sistemati sui bastimenti diretti verso la Penisola. Con queste lastre sono stati realizzati marciapiedi, pavimentazioni stradali e i banchinamenti dei porti di Messina, Napoli e Genova.
A mezzogiorno gli scalpellini pranzavano insieme e poi riprendevano il lavoro. Costruivano colonne lunghe anche 13 metri usando punte d’acciaio svedese. Al tramonto tornavano a casa sulle loro biciclette. Luigi Serra e suo figlio Gavino rientravano a Terranova. La cava di Monte Ladu rimase attiva fino all’inizio della seconda guerra mondiale, poi molti degli scalpellini emigrarono in cerca di fortuna.
Allora le uniche abitazioni, per lo più stazzi, si trovavano a Rudalza ed erano abitate da contadini e da qualche pescatore. Quello di oggi è un paesaggio completamente diverso da quello che Gavino conobbe tanti anni fa, anche se le case sono state costruite con lo stesso granito. E ogni tanto, nelle giornate di vento, sembra ancora di sentire l’eco dei colpi ritmati delle mazzette e delle punte sulla bianca pietra di Monte Ladu.