Inizia con questo articolo un viaggio nella storia del territorio di Olbia – dalla prima presenza umana alla nascita del Giudicato di Gallura – a firma del dott. D’Oriano che “Controcampo” pubblicherà a puntate.
di Rubens D’Oriano – Nella nostra narrazione sulla storia di Olbia intenderemo, in genere, come territorio di Olbia la piana che si estende alle spalle della città e la corona di colline che la circondano: un sistema che trova il suo diretto versante costiero nel Golfo Interno e, in senso più ampio, nel grande Golfo Esterno, chiuso a nord da Capo Figari e a sud da Capo di Coda Cavallo.
Ma prima di affrontare il racconto delle vicende storico-culturali delle quali questo spazio fu teatro, appare opportuno dedicare questo primo contributo a tratteggiare le caratteristiche che ne fanno un luogo particolarmente felice per lo sviluppo dei gruppi umani, com’è ben esplicitato nel nome che alla città diedero i Greci, Olbìa, appunto “felice”.
Infatti, questo territorio è stato, e ancora è per quanto concerne l’insediamento umano, il più rilevante dell’intera costa orientale, e di buona parte di quella settentrionale della Sardegna, certamente sul piano diacronico e spesso anche su quello sincronico. In diacronia, si distingue perché vi sono testimoniate tutte le fasi culturali della storia dell’Isola e quasi ognuna di esse è rappresentata – per quanto riguarda quindi la sincronia – da monumenti e/o reperti di spicco. Non è un caso, poi, che proprio qui sia sorta e abbia prosperato una delle più antiche e principali aree urbane della Sardegna.
Le ragioni della prosperità delle comunità umane che popolarono questo territorio risiedono nelle seguenti caratteristiche.
Un sistema di approdi – il Golfo Esterno e soprattutto quello Interno, affacciati sulle principali rotte del bel mezzo del Mar Tirreno – di fronte all’Italia centrale, tappe obbligate non solo per i collegamenti diretti tra la Sardegna settentrionale e la parte mediana della Penisola, ma anche per chi navigava lungo le coste orientali di Corsica e Sardegna e attraversava le Bocche di Bonifacio. Il Golfo Esterno offriva una serie di cale riparate sia nel tratto settentrionale fino a Capo Figari (che lo chiude a nord), sia in quello meridionale fino a Capo di Coda Cavallo (che lo delimita a sud). Su queste acque svetta Tavolara che – con i suoi 565 m di altezza – raggiunge la quota di gran lunga maggiore rispetto alle altre vette del territorio circostante. Grazie alla sua visibilità anche da grandi distanze sul mare e da terra, l’isola annuncia al navigante Olbia e i suoi golfi, guidandolo verso di essi: un’ottima opportunità, quindi, per chi dovesse giungere qui anche percorrendo rotte dirette d’altura. Il Golfo Interno, poi, è uno dei porti naturali più sicuri dell’intero Mediterraneo, nel quale gli eventi meteomarini non sono mai disastrosi, grazie alla sua conformazione a bottiglia con uno stretto collo di accesso rivolto a est.
Un’ampia piana fertile retrostante – adatta ad attività agro-pastorali – che risulta protetta dai venti dominanti dei quadranti nord, ovest e sud da un teatro di colline al contempo agevolmente valicabili con passaggi che consentono scorrevoli comunicazioni con gli altri areali della costa e dell’entroterra, passaggi tuttora percorsi dalle principali strade extraurbane provinciali e lungo i quali è facile il transito da e per il porto naturale.
Un clima significativamente più mite nella stagione fredda rispetto a quello delle aree circostanti – anche se al prezzo di una maggiore afa durante l’estate – garantito dal sistema collinare e dal mare del Golfo Interno.
Passando a considerare le risorse naturali, va sempre tenuto presente che nelle varie fasi dell’antichità alcuni aspetti ambientali erano molto diversi rispetto a oggi, per cause naturali come, per esempio, i notevoli cambiamenti climatici intervenuti nei ben 6000 anni del nostro racconto, o antropiche come la deforestazione. Il manto vegetale era maggiormente ricco di alberi ad alto fusto, come mostra il numero dei monumenti nuragici per la cui erezione questi erano necessari e causa della quale il loro numero dovette per un certo tempo diminuire significativamente; la sopravvivenza di tratti di foresta è però confermata dal rinvenimento negli scavi archeologici di età storica di palchi di corna di cervo, animale tipico di quell’habitat e ormai qui scomparso con esso.
La piana era ben adatta, s’è detto, per attività agricole e pastorali, meta di transumanza dai territori adiacenti fino a non molto tempo fa. Essa poteva sì soffrire di fenomeni d’impaludamento, ma evidentemente non troppo ingenti, visto che sono comunque numerosissimi i siti archeologici che la punteggiano, sorti quasi tutti non per caso su dossi, anche di modesta entità, per evitare le aree di ristagno dell’acqua. A questo problema si ovviò con le bonifiche di più di un secolo fa, che diedero origine ai corsi d’acqua che oggi attraversano l’abitato sfociando nel Golfo Interno. Anche la foce del fiume Padrongianus, nell’antichità risalibile con imbarcazioni almeno per 8 km, fu allora spostata verso ovest per evitare che i detriti apportati continuassero a insabbiare la stretta imboccatura del Golfo Interno, un problema probabilmente presente anche nei millenni precedenti.
Non possiamo abbandonare l’argomento del regime delle acque nell’antichità senza sottolineare che i popoli dell’epoca ne avevano intelligenza e rispetto maggiori di quelle da noi dimostrate, come evidenzia il fatto che nelle aree devastate dall’alluvione del 18 novembre del 2013 non sono presenti insediamenti archeologici, di nessuna epoca.
Un’ulteriore importante differenza ambientale rilevante per l’insediamento umano è rappresentata dalle variazioni della linea della costa che – nell’arco dei 6000 anni qui considerato – sono state molto significative, con importanti conseguenze soprattutto ove essa è molto bassa e il fondale è poco profondo, come nel Golfo Interno, nel quale pochi metri di differenza della quota del livello marino corrispondono in orizzontale a centinaia di metri e che potrebbe perciò conservare sotto i suoi limi interi siti archeologici preistorici.
Né il territorio di Olbia né quelli limitrofi sono benedetti dalla presenza di risorse naturali particolarmente ricercate e non universalmente diffuse nell’antichità come rare e pregiate specie vegetali o animali, pietre preziose e semi-preziose, allume, zolfo, metalli eccetera. Tuttavia un’eccezione esiste (e molto rilevante), rappresentata dall’oro bianco del passato: il sale.
Esso rivestiva nell’antichità un’importanza straordinaria, non solo per il suo uso alimentare per uomini e animali ma anche perché la salagione era l’unico accorgimento praticabile per la lunga conservazione del cibo ad alto contenuto proteico – ovvero carne, pesce e formaggi – che non era certo disponibile a sufficienza per tutti nel passato e che quindi era vitale poter conservare (quando abbondava) per i momenti di necessità. Il grande valore che il sale aveva nell’antichità è ancora riscontrabile oggi nel termine “salario” come sinonimo di “stipendio” – perché in tempi remoti esso era equiparabile al denaro, nel nome di una delle più antiche strade extraurbane di Roma, la via Salaria lungo la quale l’Urbe esportava la preziosa sostanza lì pervenuta lungo il Tevere dalle sue foci – e nella superstizione secondo la quale farlo cadere è segno di sventura, perché un tempo si trattava in realtà di una vera e propria perdita, non simbolica ma diretta e concreta.
Questa sostanza, peraltro, non avrebbe potuto acquisire tale rilevanza se non fosse stata al contempo di difficile reperimento, disponibile solo nei pochi tratti di costa marina con caratteristiche quasi di stagno, con bassissimi fondali adatti all’allestimento di una salina. Di certo quelli del Golfo Interno di Olbia – sommati a quelli di altri stagni retrodunali del Golfo Esterno – non avevano rivali lungo l’intera costa orientale e settentrionale della Sardegna, ed erano altresì ideali per l’allevamento di pesce e molluschi, tutte attività così rilevanti da aver avuto una prosecuzione nei millenni (tale da sopravvivere in eloquenti toponimi quali La Peschiera, Salineddas, Le Saline).
Non è dubbio, però, che la principale fortuna e carta vincente di Olbia e del suo territorio fosse, come oggi, il formidabile porto naturale nella sua altrettanto formidabile posizione geografica, porta principale di accesso alla Sardegna dell’intera costa orientale e di buona parte di quella settentrionale, dalla quale merci, uomini e stimoli culturali si irradiavano verso l’interno dell’Isola, e dalla quale prendevano il mare analoghi flussi che da essa si propagavano verso tutto il mondo antico. E’ perciò che questa porzione di mondo fu terreno di confronto e scambio di oggetti e idee, di beni materiali e immateriali, teatro di eventi politici, militari e culturali tra i più caratterizzanti della storia del mondo circum-mediterraneo: l’esportazione dell’ossidiana sarda, il commercio internazionale nuragico, la diffusione della civiltà urbana, la grande cultura greca, le Guerre Puniche, le lotte di potere dell’Impero Romano e la sua rovina, la riconquista bizantina, l’avvento degli Arabi, l’epopea delle Repubbliche Marinare. Tutte vicende che racconteremo, con altre ancora, nelle prossime tappe della nostra narrazione.